Questo è un Monologo che  ho scritto qualche anno fa. Parliamo del 2004

Un esperimento di scrittura immaginato per essere recitato su un palcoscenico.

Magari un giorno riuscirò a finirlo  🙂

Buona Lettura.

Di recente , ispirata al mio monologo “Cinico Risveglio , ho realizzato anche questa illustrazione (se vuoi poi scoprire anche come nascono le illustrazioni da passeggio e i miei taccuini)

Un Aperitivo prima della lettura 🙂

illustrazione monologo Cinico Risveglio idi Marco Guzzini Inchiostro di China

Ecco Il Monologo

Cinico Risveglio – Monologo del primo risveglio (Marco Guzzini)

Sveglio

Odio l’indispensabile gesto di spegnere la sveglia.

Il mio braccio destro passando davanti ai miei occhi semi aperti, mi rende consapevole della materialità e tangibilità del senso di inizio.

Devo lavarmi, non sopporto l’attenzione degli altri e, ancor di più, non sopporto di dover mostrare di esserne preoccupato. Potrei usare la mano sinistra ma il contatto con la plastica ritarderebbe solo la medesima sensazione. Inoltre non sono mancino.

Il fine settimana, le cose vanno decisamente meglio: niente pulsanti e posso rimanere immobile a letto rimandando a piacimento lo scompenso del dimostrarsi svegli realmente. Il fine settimana finalmente respiro in quella piccola finestra temporale che ha per estremi la prima apertura degli occhi al mattino e la cosciente percezione del proprio corpo. Istantaneamente riposati, dopo una precedente giornata finita, dopo una dormita e prima di ogni prossima stanchezza. Non bisogna stare fermi, bisogna essere fermi e gli occhi passeggiano indisturbati senza comprendere nel loro campo la persona a cui appartengono. Viene ancora meglio quando anche il naso ritarda il riaversi.

Le mattine

Le mattine di lavoro esistono quindi tanto vale farle scorrere senza degnarle di troppe attenzioni. Non si meritano alcuna emozione. Via, verso un nuovo inizio giornata, verso una scaduta nuova sequenza di eventi inutili, ricalcando, trascinati, i vuoti rituali imposti dalla inaccessibile società. Non merita di essere cambiata.

La vera incognita rimane il timbro e la frequenza del miagolio. Quel gatto è eccessivamente smemorato e tende a dimenticare la coda, ogni mattina, nel punto esatto dove uso posare il mio primo piede. E tutto procederà così finché non si accorgerà che il nove non è proprio il suo numero fortunato.

Il letto rifatto e ben tirato si sarebbe nuovamente spiegazzato. Il parquet sarebbe stato ugualmente lucidato e successivamente graffiato. Se almeno qualcuno si degnasse di ricomporre il cuscino sulla mia poltrona dell’ immobilità.

Ogni super-eroe ha un super-potere, e a me non può interessare di meno. Odio i fumetti e le aspettative di divertimento che credono di creare ma l’appuntamento con un “super-qualcosa” perseguita i miei cortocircuiti mentali ogni volta che penso ad una parola terminante con le lettere  “tà”: immobilità, lealtà, invisibilità, facoltà, elasticità. C’è da dire però che mi permette di stirare i muscoli facciali, la flessione sforzata a cui è sottoposta la mia bocca mentre immagino tutti i soldi disciolti nelle edicole.

L’urina si esprime ogni giorno con tinte sempre più rare mentre infuoca le mie viscere e, ovviamente,  all’arroganza di un primario preferisco il mio arcobaleno infernale. Fissando lo scarico sorrido, umiliando coi miei bruciori la presunzione di tutti quei pomposi laureati e delle loro uniche e differenti verità universali mediche. Giocate con gli altri, non con me.

L’ennesima giornata di sole. Come fa un uomo a radersi con tutti questi riflessi sullo specchio? Comunque non è un problema mio, non mi rado da mesi. La barba ricrescerebbe comunque, i capelli si spettinerebbero ancora, prima o poi. Forse è anche ora di smetterla di pensarci.

Uscire

Devo uscire sempre in anticipo per non fare tardi e per prevenire una irrinunciabile voglia di abbandonarmi alla mia poltrona dell’immobilità.
Pensare di pormi il problema di come vestirmi per non essere infastidito dagli sguardi mi irrita e già la vecchina al piano sotto, aspetterà lo scatto della mia serratura per intasare irrimediabilmente la tromba delle scale con quella infinità di pacchi per rallentarmi. Oggi non le darò soddisfazione, mi sdraio sul pianerottolo contemplando i gradini.

Il cancello finalmente, il sole mi brucia gli occhi e il solito ragazzo che vende il giornale rimane in controluce. Lo sa perfettamente che non lo comprerò mai e l’ombra sul suo volto nasconde sicuramente qualche smorfia. Bravo, divertiti per quello che puoi.

La solita coppietta stomachevole  sul marciapiedi che si saluta in orge di smancerie prima di andare al lavoro. Ma che carini, starebbero bene spalmati sulla copertina di qualche Harmony. Come fosse più importante la loro illusione rispetto ai soldi che devono guadagnare per non crepare di fame. Si baciano reciprocamente come bacerebbero chiunque altro fosse disposto a fargli compagnia. Lavorate che è meglio. Tutto ciò non vi lascerà nulla in più di quanto possano lasciarvi quei venti lussuriosi istanti prima di addormentarvi. In compagnia ma anche da soli, si intende. Chissà che aliti si ritrovano poi di prima mattina. Fingono di non notarlo gli ipocriti, perdendosi anzi in improbabili virtuosismi linguo-labiali.

Dovrei essere stomacato ma non ne ho voglia. Ho fame. Non mi preoccupo è la solita esigenza fisica. La stessa causa che mi ha fatto rinunciare alla poltrona. Se non altro lo stomaco riempie senza impegno le mie visioni scortandomi fino al solito bar e impedendomi di notare le altre coppie in apnea.

Un pensiero alla mia poltrona.

Colazione

Il solito bar, i soliti due vecchi affumicati. Il solito barista sorridente, che avrà poi da ridere? Un caffè e la solita briche, non dico altro. Notevole la battuta, in riposta del barista grembiulato, pubblicizzando la eterna freschezza della “solita brioche” che in realtà è sempre nuova. Ogni mattina gli trova una intenzione diversa. Per fortuna non mette lo stesso impegno, che sbadila per strappare risate, nel preparare il caffè.
Ringraziando il cielo, la tecnologia impedisce questo delitto: il mio caffè lo prepara una macchina. Certo, che: il silenzio del barista seminato con meno parsimonia farebbe aumentare la clientela, di conseguenza aumenterebbero i guadagni, si potrebbe perciò comprare una macchina da caffè migliore e servirmi un caffè più decente. Non mi sogno certo di spiegarglielo.

Bevo. Fazzolettino. Pago. Sorrido con compassione ai due vecchi gettati nelle strade da mogli aspirapolvere-munite. Esco. Tengo sempre in mano il fazzolettino appallottolato del bar per buona parte del restante percorso. Non ho mai indagato sul perchè. E’ un dato di fatto. Un errore di fabbrica forse.

La fioraia sta comprando il giornale dal ragazzo che nel frattempo mi ha sorpassato durante la pausa al bar. Lo paga con la saliva delle varie coppiette appiccicate di poco fa. Se non altro è un ecosistema che si autosostiene: rifornito da cuori ipnotizzati e menti in pausa, permette a rosevendole di pagare un quotidiano  a un ragazzo che un giorno crederà di innamorarsi e pagherà a sua volta la rosevendola per poter regalare fiori. E se la fioraia si innamorerà, verrà sicuramente assunta da qualche testata giornalistica che intanto si arricchisce.

La fioraia si è innamorata, ha focalizzato i suoi momentanei sussulti sul mio camminare svelto con in mano un fazzolettino. Ma non mi preoccupo troppo, non vedo pile di giornali ancora nel suo negozio. Stia attenta al resto che le deve dare il ragazzo piuttosto. Quello magari le serve. Ne approfitto per gettare la carta nel suo cestino e allontanarmi.

L’ingresso

Il portone di ingresso del lavoro. A molti crea ansia. Io non ne ho voglia. E’ necessario, niente di più. Oltretutto d’inverno un portone ripara discretamente dal freddo. Il portiere del lavoro. A molti crea soggezione nella sua divisa. Io non ne ho voglia. E’ necessario niente di più. Oltretutto il giovedì, giorno di chiusura della fioraia, è utile nella sua esposizione di impeccabili strumenti di cancelleria. Il suo cestino è sempre vuoto la mattina.

Atrio. Corridoio. Studio. Aula. Ci sono già quasi tutti gli studenti, non mancano ovviamente i soliti leccapiedi.

“Signori buongiorno, oggi parleremo di poesia

 

 

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